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ADHD E SCUOLA INCLUSIVA

  • Immagine del redattore: Elisa Vecchi
    Elisa Vecchi
  • 12 nov 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 20 nov 2020






Sentiamo spesso parlare di scuola inclusiva.

Ne parla la maestra, ne parla la mamma, ne parla persino la tv. Ma cosa significa davvero una scuola inclusiva? E gli insegnanti dei nostri figli sono in grado di attuarla? Questo articolo vuole provare a raccontare e andare incontro alle esigenze di quei bambini che hanno una diagnosi di “Disturbo da deficit dell’attenzione e/o dell’iperattività”, studenti con problemi di controllo attentivo e/o dell’attività motoria, spesso definiti con l’acronimo A.D.H.D. (Attention Deficit Hyperactivity Disorder), corrispondente all’acronimo italiano D.D.A.I. – Deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività. Come ogni altro bambino, gli studenti con ADHD a maggior ragione hanno bisogno di sentirsi inclusi, compresi, rassicurati, "curati". Ma che cosa è l'ADHD? L’ADHD è un disturbo del neurosviluppo, ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di pianificazione, di apprendimento e di socializzazione con i coetanei. “Si è stimato che il disturbo, in forma grave tale da compromettere il percorso scolastico, è presente in circa l’1% della popolazione scolastica, cioè quasi 80.000 alunni” [1] Con notevole frequenza l'ADHD è in comorbilità con uno o più disturbi dell’età evolutiva: disturbo oppositivo provocatorio; disturbo della condotta in adolescenza; disturbi specifici dell'apprendimento; disturbi d'ansia; disturbi dell'umore, etc. Secondo i criteri diagnostici del DSM-5 l’ADHD è:


  1. Persistente pattern di inattenzione e/o iperattività-impulsività che interferiscono con il funzionamento e lo sviluppo del bambino, insorgono prima dei 12 anni e devono essere osservabili in due o più ambiti da almeno 6 mesi;

  2. A prevalente manifestazione: combinata, inattentiva, iperattiva/impulsiva

  3. Con tre differenti gradi di severità: lieve, media e severa

Il percorso migliore per la presa in carico del bambino/ragazzo con ADHD si attua senz’altro quando è presente una sinergia fra famiglia, scuola e clinica. Le informazioni fornite dagli insegnanti hanno una parte importante per il completamento della diagnosi e la collaborazione della scuola è un anello fondamentale nel processo riabilitativo.

In alcuni casi il quadro clinico particolarmente grave – anche per la comorbilità con altre patologie – richiede l’assegnazione dell’insegnante di sostegno, come previsto dalla legge 104/92. Tuttavia, vi sono moltissimi ragazzi con ADHD che, in ragione della minor gravità del disturbo, non ottengono la certificazione di disabilità, ma hanno pari diritto a veder tutelato il loro successo formativo. Vi è quindi la necessità di estendere a tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali le misure previste dalla Legge 170 per alunni e studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento. Quanto è importante stare bene in classe? Sappiamo benissimo che a causa del loro disturbo i bambini e gli adolescenti con ADHD hanno meno amici rispetto ai coetanei senza ADHD[1] ; perdono gli amici più frequentemente e più rapidamente”[2].

I bambini con ADHD vengono considerati maggiormente antipatici dai coetanei[3] e questo può contribuire ad aumentare l’esclusione del bambino ADHD mediante atteggiamenti di svalutazione e sottostima, comportamenti di rifiuto e pregiudizi[4].

Gli alunni con ADHD hanno maggiori probabilità di sviluppare vissuti di inadeguatezza e, in generale, una bassa autostima[5], vanno male a scuola e spesso si assiste al fenomeno della bocciatura e dell’abbandono scolastico. Spesso questi studenti sono visti dalle insegnanti come molto attivi, interessati alle cose nuove, ma con difficoltà a stare tranquilli e attenti, si distraggono durante le lezioni, sembrano non ascoltare, parlano senza avere il permesso di farlo, sono molto intuitivi, ma troppo precipitosi nello svolgere i compiti assegnati che risultano incompleti e scorretti.

Le abilità richieste dalla scuola sono, però, proprio quelle in cui questi studenti sono deficitari: attenzione, pianificazione e soluzione dei problemi, motivazione, gestione emotiva, organizzazione e controllo dei processi cognitivi.

La capacità di organizzare una lezione nello scenario attuale richiede, dunque, uno sforzo organizzativo, didattico e metodologico sconosciuto, fino a pochi anni fa. Il passaggio da una logica dell’insegnamento a una dell’apprendimento, con conseguente cambio di paradigma verso una scuola che sia insieme accogliente e competente, comporta un notevole sforzo che richiama tanti aspetti della professionalità docente[6]. In questo scenario mutevole e continuamente sottoposto a pressioni di vario tipo, la scuola italiana è chiamata alla sfida forse più impegnativa: creare percorsi inclusivi in grado di accogliere e accompagnare studenti con disabilità, con disturbi evolutivi specifici (DSA, funzionamento cognitivo limite, ecc.) e con svantaggio socioculturale, così come prevede l’attuale normativa in merito all’inclusione scolastica degli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES)[7]. Se fino a pochi anni fa le attenzioni della scuola erano rivolte principalmente agli alunni con disabilità certificata, tutelati da un complesso di norme tese a garantire il diritto dell’integrazione nella scuola di tutti, oggi la richiesta è di un ampliamento del processo di individualizzazione e personalizzazione della relazione didattica. Una scuola inclusiva, in altre parole, è quella in grado di accogliere e valorizzare tutti i bambini, a prescindere dal grado di disagio, difficoltà o disabilità del singolo alunno.

Per far questo è necessario predisporre una didattica in grado di garantire lo sviluppo delle competenze di ogni bambino, attraverso la capacità di alternare momenti di lezione frontale ad altri più responsabilizzanti e motivanti[8].

Fare lezione nella scuola che cambia, in ottica inclusiva, significa aver cura delle fragilità presenti nella scuola. Per fare questo è necessario che la scuola accolga tutti i bambini, che li sappia valorizzare e accompagnare verso una crescita personale e sociale.

Quali sono le strategie per una didattica inclusiva? Le strategie per l’inclusione riguardano sia una diversa impostazione pedagogica che alcune specifiche modalità di apprendimento e nuovi stili didattici. Da un punto di vista generale le strategie da mettere in atto sono volte a modificare o riadattare le metodologie classiche di insegnamento, come la lezione frontale, l’applicazione di regole memorizzate, o l’alternanza canonica fra spiegazioni, interrogazioni e compiti in classe. L’obiettivo è, infatti, quello di valutare la diversità degli alunni e sostenerli con efficacia, cercando di portare sempre l’intero gruppo degli studenti ad una maggiore consapevolezza, autocritica e collaborazione, vere chiavi del successo formativo. Le strategie sono molte: dall’utilizzo di nuove tecnologie che modificano e incentivano nuove modalità di apprendimento ad alcune specifiche metodologie che possono essere messe in atto dagli insegnanti. Fra queste possiamo menzionare il cooperative learning, la flipped classroom, l’incentivazione delle riflessioni metacognitive, oltre ad un importante accento che può essere posto sulla consapevolezza emotiva e non solo cognitiva del gruppo-classe.

È evidente da queste brevi riflessioni che un ruolo preminente è giocato da alcuni attori in particolare: gli insegnanti[9] Ecco perché è essenziale creare un ambiente scolastico inclusivo che possa prendere per mano il bambino ed accompagnarlo durante il suo percorso, ponendosi nell’ottica di incrementare la comparsa di comportamenti corretti. La scuola è significativa quando sa far sperimentare agli alunni che quanto propone ha un senso per la loro vita: questo è possibile solo se gli insegnanti condividono l’idea che la scuola non è solo un luogo dove si trasmettono conoscenze e abilità utili per il mercato in trasformazione, ma un luogo nel quale si apprendono gli alfabeti del vivere e del convivere, dove si impara a confrontarsi diventando cittadini responsabili del proprio pianeta... la buona scuola sa offrire agli studenti una buona preparazione alle professioni associata allo sviluppo della propria personale identità…la scuola non è solamente un’organizzazione burocratica, ma anche un’organizzazione al servizio dello studente, un’organizzazione che apprende dall’esperienza, che si misura con le nuove sfide con un’identità pedagogica in ricerca di continuo miglioramento. [10] L’ambiente, dunque, può avere un ruolo di fattore protettivo: un ambiente che «cura», accogliente e non giudicante, è una variabile potente ed efficace per imparare e rimodulare una linea di sviluppo con predisposizioni a problemi di autoregolazione emotiva e comportamentale. L’apprendimento è un processo sociale ed emotivo e il maestro deve rappresentare il costrutto. Come? Esprimendo serenità ed equilibrio con il sorriso, rappresentando l’intenzione “sono qui per occuparmi di te”, restituendo cosa mi piace di te, sollecitando le curiosità dello studente e accogliendo l‘errore senza punire. Per prima cosa dobbiamo conoscere e accettare le difficoltà del nostro alunno, ma soprattutto riconoscere le sue qualità. Dobbiamo apprezzare ciò che il bambino può fare e aiutarlo a non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà. In classe è importante mantenere la calma anche quando può essere complicato, quello che ci può aiutare è sicuramente pensare a tutte le difficoltà dello studente e al fatto che arrabbiarsi non produce niente di positivo. Comunichiamo al bambino in modo efficace perché lui si senta accettato, compreso e rispettato così da istaurare una buona relazione. Una buona relazione diminuisce i problemi di disciplina e aumenta tempo per l’apprendimento. Quando comunichiamo sono importanti le parole, ma sono ancora più importanti la gestualità, l’intonazione della voce, la postura etc. In situazioni di incongruenza tra elementi verbali e non, chi ci ascolta tenderà in maniera automatica a dare rilevanza a quelli non verbali. In tali circostanze le nostre parole risuoneranno come poco sincere. Cerchiamo di capire i messaggi che il bambino ci invia con il suo comportamento, non tutti i bambini sanno esprimere con parole le loro necessità e i loro bisogni. Se il bambino è in difficoltà è essenziale saper ascoltare. Una scuola inclusiva deve saper organizzare un buon ambiente in classe cercando di favorire la comparsa di comportamenti corretti. L’insegnante deve avere sott’occhio il bambino per far si che possa dargli attenzione e per favorire la sua partecipazione. La routine in classe permette di prevedere tempi e richieste e, quindi, di adattare il proprio comportamento. E’ importante ricordare al bambino subito prima di un’attività, quale comportamento ci si aspetta e quale gratificazione seguirà alla condotta adeguata. Particolare attenzione va data ai momenti di transizione durante i quali è più facile che si presentino comportamenti-problema. Insieme alle routine, le regole contribuiscono a dare al bambino una sensazione di sicurezza, prevedibilità e controllo sugli avvenimenti. Le regole vanno analizzate insieme ai bambini per capirne il senso e l’utilità e ci sono alcune regole che non vanno discusse perché proteggono dai pericoli, tutelano la salute e impediscono di fare cose che ancora non si è in grado di valutare. Ricordiamoci che troppe regole sono disorientanti e, quindi, è importante sceglierne poche ed esprimerle in maniera sintetica. Realizzare un cartellone delle regole potrebbe essere un valido supporto perché permette ai bambini di averle sempre sott’occhio. Le regole vanno espresse sempre in termini positivi e non come divieto, le azioni vanno descritte in modo operativo, meglio se utilizziamo immagini. Realizzare un cartellone delle regole può essere un’attività da fare proprio insieme ai bambini, per coinvolgerli, per renderli partecipi e per far si che prendano consapevolezza sulle importanti regole da tenere in classe e a scuola. E’ importante creare, nell’ambiente scolastico inclusivo, anche un momento in cui poter confrontarci con i nostri alunni, poter dialogare con loro, giocare e sperimentare un tempo più lento, senza scadenze di verifiche, interrogazioni, valutazioni. Ecco perché, nel prossimo articolo, voglio riportare alcune esperienze, avventure, obiettivi e risultati raggiunti in laboratori in cui tutti, ma proprio tutti, hanno potuto mettere un pezzettino di se. [1] Marton, Wiener, Rogers e Moore, 2012 [2] Norman et al, 2013 [3] Mikami et al, 2015 4] Mikami & Normand, 2015 [5] Blachno et al, 2013; Harpin et al, 2016; in Italia: Mazzone et al, 2013; Di Pietro & Ceccarelli, 2016 [6] Contardi A., Verso l’autonomia, Carocci, Roma 2004 [7] Fiorin I., Scuola accogliente, scuola competente, editrice La Scuola, Brescia, 2012 [8] Fiorin I., Insegnare ad apprendere, editrice La Scuola, Brescia, 2012 [9] Fieradidacta.indire.it [10] Psicologia per la buona scuola, Smorti M., Tschiesner R., Farneti A., libreriauniversitaria.it, 2016 [11] www.giuntiedu.it




 
 
 

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